Prima della civilizzazione patriarcale, iniziata circa seimila anni fa, prima quindi che la guerra, il saccheggio e la schiavitù nello loro diverse forme storiche segnassero indelebilmente la storia umana, gli uomini adoravano insieme alla Grande Madre, Shiva/Dioniso, il dio che più di altre divinità è connesso all'energia istintuale, alla natura animale, alla spontaneità, alla forza creativa/distruttiva dell'energia erotica. Con l'affermarsi repressivo e controllante dell'ego patriarcale nelle menti dell'umanità, l'archetipo dionisiaco si è inabissato, rimanendo come un flusso carsico che irrora della sua ricchezza iniziatica il culto dei misteri dell'antica Grecia, il tantra indiano shivaita, il buddismo tantrico, così ancora mirabilmente vivo nei maestri tibetani.


Il programma SAT, ideato negli anni ottanta da Claudio Naranjo, ha attinto a piene mani da quella sorgente carsica e per il tramite delle dottrine e degli insegnamenti buddisti del Veicolo del diamante (Vajrayana) ha dato nuova vita all'energia di Dioniso in occidente.
In questo contesto, alla luce soprattutto di ciò che abbiamo direttamente vissuto come allievi e collaboratori di Claudio Naranjo, è nostra intenzione evidenziare di seguito alcuni punti che qualificano e rendono originale il buddismo dionisico.
Tra i mille aspetti di una vita così ricca e complessa come quella di Claudio Naranjo, ce ne sono due che più di altri caratterizzano il programma SAT, che lui stesso considerava il suo più importante lascito al mondo: l'esperienza e l'intuizione maturata nel campo della psicoterapia, con particolare riferimento all'approccio gestaltico, e l'esperienza e le realizzazioni ottenute nella pratica della meditazione buddista, che hanno fatto di lui un maestro riconosciuto dagli stessi lama tibetani.


La pratica gestaltica e la pratica meditativa buddista si integrano completamente nel programma SAT, tanto da divenire inseparabili. La raffinata psicologia buddista, per la quale la consapevolezza che porta al risveglio spirituale ha un profilo non solo intellettuale e razionale, ma comprende integralmente la dimensione corporea e fisica, viene sviluppata nel SAT, più che nei contenuti, nei metodi informali e non concettuali della psicologia della Gestalt, peraltro tutta incentrata sulla percezione e l'esperienza nel qui e ora come già la Vipassana. Il tratto assolutamente originale del programma SAT è tuttavia, soprattutto, nella consapevolezza psicologica delle dinamiche caratteriali che si sviluppa attraverso un lavoro esperienziale non solo individuale, come nella pratica buddista, ma anche di gruppo, nel quale la fitta rete di interrelazioni che le pratiche proposte inducono, rafforza il processo di consapevole reintegrazione di esperienze altrimenti inconsce. Il processo gestaltico è potenziato dalla pratica meditativa che fin da subito focalizza l'attenzione al respiro per sviluppare la consapevolezza del corpo, delle sensazioni/emozioni, della mente e degli oggetti della mente, come indicato nell'Anapanasati sutta al quale l'allievo viene introdotto all'inizio del programma, al SAT1.
La dimensione del lavoro esperienziale di gruppo è quindi un elemento fondante e originale dell'approccio dionisiaco: le dinamiche di relazione che sorgono spontaneamente nel gruppo di lavoro tendono a sviluppare un loro processo strettamente interdipendente dal lavoro di ognuno, secondo dinamiche imprevedibili. La consapevolezza del gruppo, in una dinamica simile alla regolazione organismica, potenzia la consapevolezza individuale e rafforza le energie catartiche, latenti in ognuno.
Il programma SAT, nelle tre fasi del suo percorso compiuto, segue la tradizione del buddismo tibetano, che integra gradualmente gli insegnamenti dell'hinayana, del mahayana e del vajrayana in un unico sentiero spirituale.

tra l'altro, si introduce l'allievo alle quattro nobili verità e al significato profondo della presa di rifugio, creando le condizioni per un'intima rinuncia alle cause della sofferenza, che i buddisti definiscono come l'emersione definitiva dall'esistenza ciclica. In questo contesto, tutto il lavoro di consapevolezza sul carattere e l'identificazione con l'enneatipo è un'esplorazione esperienziale delle prime due nobili verità della sofferenza e delle sue cause, poiché il carattere è considerato come la manifestazione della nevrosi sorta dalle specifiche modalità con le quali si è oscurata la coscienza. Per riconoscere l'enneatipo è necessario avere consapevolezza della passione prevalente, della fissazione cognitiva che la sostiene e della motivazione profonda che dirige l'azione, la parola e il pensiero. La pratica meditativa dell'apanasati è fondamentale al potenziamento di una tale consapevolezza.
il lavoro di consapevolezza si approfondisce e l'allievo viene introdotto alla via del bodhisattva e allo sviluppo della compassione e dell'amorevole gentilezza come elementi essenziali della salute fondamentale. Il carattere si configura sempre più come malattia dell'amare e dell'amarsi e la pratica dell'amore è chiaramente individuata come il portare sul sentiero spirituale il frutto, il risultato spirituale. L'obiettivo della liberazione individuale si amplia sino all'infinita spaziosità amorosa dell'aspirazione a raggiungere l'illuminazione per poter essere di aiuto a tutti gli esseri. La pratica dello zazen, con la quale si coltiva la visione intuitiva della nostra reale condizione coltivando il non fare, è il contesto in cui si cerca di realizzare gli insegnamenti. Claudio Naranjo è stato allievo di Suzuki Roshi durante la permanenza del maestro giapponese in California e le sue profonde meditazioni guidate di zazen al SAT 2 attingevano direttamente dalla dirette esperienze di meditazione, conferendo alle sedute un particolare carisma.

l'allievo, che nei due anni precedenti ha elaborato i profondi e spesso dolorosi vissuti esperienziali e che quotidianamente ha praticato la meditazione secondo gli insegnamenti del maestro, ha la mente sufficientemente aperta ad accogliere gli insegnamenti sottili della via del diamante, attraverso l'introduzione alla mahamudra secondo il lignaggio del Karmapa. L'allievo è invitato a focalizzare l'attenzione univoca al respiro sino a che la mente si calma in una quiete senza pensieri e il corpo diviene più flessibile. E' poi invitato a non concettualizzare gli oggetti mentali che sorgono dalla spazio calmo e vuoto della mente, lasciandoli dissolvere. Se la stabilizzazione meditativa è abbastanza sviluppata, l'allievo può al quel punto realizzare che lo stato calmo della mente e il suo movimento sono di un unico sapore, come acqua nell'acqua. Praticando in questo modo in uno stato completamente rilassato si può infine con il tempo abbandonare qualsiasi sforzo fin ad una condizione di non meditazione che perdura consapevolmente ben oltre la sessione seduta, in una dimensione non duale che trascende soggetto e oggetto. L'identificazione con lo spazio non duale e atemporale della presenza è l'invito che Claudio Naranjo ripetutamente propone nelle meditazione guidata ai suoi allievi.
Tutte le pratiche meditative buddiste, dalla tradizione Theravada all'Ati Yoga della Grande Pefezione, sono, a diversi livelli di sottogliezza, l'integrazione della concentrazione univoca (Shamata) e della visione speciale (Vipashyana): in questo il buddismo dionisiaco è assolutamente fedele alla tradizione. Vi sono tuttavia in esso almeno tre aspetti, solo apparentemente secondari, che lo rendono originale:
Nella tradizione buddista non mancano pratiche meditative in movimento. La meditazione camminata è ampiamente praticata sia nella tradizione hinayana che mahayana e Tich nath han è forse il maestro che maggiormente ha contribuito alla sua diffusione in occidente. La danza rituale è ampiamente praticata nel buddismo tibetano e Lama Norbu ha diffuso in occidente le splendite movenze e la profonda consapevolezza della Danza Vajra.


Nel programma SAT si pratica il movimento spontaneo che richiama la tradizione indonesiana del Latihan. Si può ritenere che questo tipo di meditazione, pur non direttamente riconducibile alla tradizione buddista, sia perfettamente coerente con lo spirito della Via del diamante che privilegia il lavoro sull'energia e la consapevolezza primordiale. La presenza spontanea non concettuale è la chiave che attiva il movimento spontaneo, che si manifesta, una volta aperta la gabbia egoica, come espressione dell'energia della vuota chiarezza della coscienza, nell'integrazione del movimento del corpo, del respiro (e dell'energia che veicola) e della mente. La musica, veicolo privilegiato di trasmissione solo sottilmente concettuale di vissuti emotivi e spirituali, favorisce il processo di liberazione che si innesca con i primi accessi al movimento spontaneo.
Si può quindi ritenere che la meditazione del movimento spontaneo sia parte integrante e originale delle pratiche del buddismo dionisico e la successione di sessioni di meditazione seduta e movimento spontaneo, con successiva condivisione collettiva dei vissuti esperiti, si è dimostrata particolarmente efficace ad aprire spazi di consapevolezza che allargano le faglie di rottura del nevrotico delirio egoico.
Che il movimento spontaneo attinga dal fiume carsico dell'antico culto dionisiaco/shivaita lo dimostra ulteriormente una certa affinità con la danza Tandava della tradizione del tantrismo shivaita kashmiro, che Daniel Odier ha avuto il merito di introdurre e insegnare in occidente.
Il collegamento stretto tra il Buddismo dionisiaco e la Via del diamante che abbiamo fin qui indagato è fortemente richiamato, per espressa e diretta indicazione di Claudio Naranjo, in relazione ad un aspetto sul quale difficilmente si potrebbe pensare di trovarlo, alla luce di uno sguardo superficiale: la meditazione attraverso la musica classica tedesca.


Nella pratiche più avanzate del Vajrayana, e in modo specifico nel Maha anuttara yoga tantra, la pratica meditativa è articolata in una prima fase detta dello Stadio di generazione e in una fase successiva detta dello Stadio di completamento. Nello Stadio di generazione, l'allievo, iniziato alla pratica attraverso un complesso e articolato rito di potenziamento, pratica lo yoga della divinità, visualizzando e identificando se stesso nella forma di una divinità al centro del mandala. L'obiettivo è quello di sviluppare gradualmente una chiara visione non duale del mandala sostenente e delle divinità sostenute e l'orgoglio divino che è aldilà dell'oscurazioni egoiche. La divinità e il mandala sono la visione pura della realtà di un essere illuminato e attraverso di essa l'allievo purifica la sua ordinaria visione duale prodotta da un atavico stato di ignoranza. L'allievo, attraverso lo Stadio di generazione, matura quindi le condizioni nel suo continuum mentale per praticare e realizzare lo Stadio di completamento che può condurlo alla completa illuminazione.
Facendo propria l'illuminata intuizione di Totila Albert, Claudio Naranjo considera la musica classica tedesca e, tra le altre, soprattutto le opere di Bach, Beethoven e Brahms come musica sacra, non tanto e non solo perché anche suonata in ambito rituale religioso, ma innanzitutto perché ispirata da una energia spirituale divina. Se lo yoga della divinità si pratica sulla base di visioni pure di esseri illuminati, la meditazione con la musica sacra tedesca si pratica sulla base dell'ispirazione divina dei suoi autori.

E' necessario sottolineare che la meditazione con la musica non corrisponde al mero ascolto, magari anche partecipato, della musica. In questo Claudio Naranjo è stato molto preciso nelle sue indicazioni: l'allievo, sulla base di una sufficiente stabilizzazione meditativa maturata nel tempo, è invitato a identificarsi gradualmente con la musica, con i vissuti emotivi e spirituali che la musica esprime, per giungere infine alla identificazione con lo spazio di silenzio di cui la musica e i vissuti che in esso sorgono e si dissolvono sono la sua manifestazione.
Come nello yoga della divinità il mandala e la divinità sorgono e si dissolvono nel puro spazio della vacuità, nella meditazione con la musica sacra, i suoni e i vissuti sorgono e si dissolvono da una spazio di silenzio in cui vi è la spontanea presenza dell'attimo.

Nelle considerazioni che fin qui abbiamo fatto, a cui peraltro potrebbero esserne aggiunte altre altrettanto significative che non elaboriamo per il mandato di sintesi che ci siamo dati, risalta tutta la ricchezza e l'originalità del buddismo dionisiaco, che, pur fermamente ancorato alla tradizione buddista nelle sue diverse forme, non manca di aspetti che lo rendono particolarmente adatto ad allievi nati e cresciuti in occidente. Riteniamo peraltro che vi siano in esso potenzialità ancora non completamente espresse che potranno produrre interessanti sviluppi in futuro quando il buddismo dionisiaco entrerà in contatto con generazioni che sempre più sentiranno la necessità e l'urgenza di un risveglio spirituale come risposta alla grande crisi dell'umanità di questo inizio di millennio.
Dioniso, un attimo prima di essere sbranato dai Titani, giocando alzò lo specchio e nel riflesso di se stesso vide il mondo. Il nostro maestro ci insegna a cercare in noi il bambino divino che nello specchio vuoto e chiaro delle mente, riflettendo se stesso, vede e gode del gioco del mondo.