VII INNO OMERICO – A DIONISO

VII INNO OMERICO – A DIONISO

(traduzione di Ettore Romagnoli Zanichelli 1925)

Dïòniso dirò, della celebre Sèmele il figlio,
com'egli apparve presso la spiaggia del mare infecondo,
dove sporgeva il lido. D'un giovine pubere appena
assunte avea le forme: le chiome ondeggiavano, brune
cerule: sopra le spalle gagliarde, un purpurëo manto.
Ed ecco, d'improvviso, spuntar da una rapida nave,
sovressi i foschi flutti del mare, pirati tirreni.
Tristo destino qui li guidava. Lo videro, e cenno
fecero l'uno all'altro, balzarono súbito a terra,
e nella nave loro l'addussero, tutti festosi,
ché lo credettero figlio di qualche divino monarca.
E tosto in ceppi duri lo vollero stringer; ma i ceppi
non lo tenevano: i lacci, dai pie', dalle mani, lontano
caddero al suolo; ed egli si pose a sedere; ed un riso
illuminava le azzurre pupille. E il pilota comprese.
«Amici, un Nume abbiamo predato; e volete legarlo?
Egli è pesante: il nostro naviglio non può contenerlo:
Giove, di certo, è costui, o Apollo dall'arco d'argento,
oppure, il Dio del mare: l'aspetto non ha d'un mortale:
somiglia ai Numi ch'ànno dimora nel cielo: su' via.
sopra la negra terra lasciamolo libero, lungi
da lui le man' tenete, ché, in ira salito, non debba
i venti contro noi suscitare, e la fiera procella».
Disse; ma il capitano rispose con cruda rampogna:
"Amico, bada al vento, tu, bada a raccoglier gli attrezzi,
a tirar su la vela: ché a questo ci pensa la ciurma.
Sino in Egitto dovrà venire con noi, sino a Cipro,
agl'Iperborei, e magari più in là, dico io, sino a quando
detto non ci abbia i suoi genitori chi sono, e gli amici,
tutte le sue sostanze: ché a noi l'ha mandato un Celeste».
E l'albero drizzò, tese allora la vela il pilota.
Colpí la brezza a mezzo la vela, si stesero i remi
tutti d'attorno. E, d'un tratto, si videro strani prodigi.
Prima, traverso il negro veloce naviglio, un vin dolce
fragrante, scaturí gorgogliando; e s'effuse un olezzo
ambrosio: sbigottiti rimasero tutti i nocchieri.
Súbito dopo, a sommo fiorí della vela una vigna,
stesa di qua, di là: ne pendevano grappoli fitti.
S'avvolticchiò tutta in giro su l'albero l'edera negra,
dove il corimbo fiorí, spuntarono bacche eleganti;
e tutti ebber ghirlande gli scalmi. Ciò visto, i nocchieri
dissero che il pilota facesse approdare di nuovo
la nave; ed ecco, dentro la nave, comparve da prora
un orrido leone, che truce ruggiva; e nel mezzo,
tutta villosa un'orsa, tremendo prodigio. E si rizza
sui pie', bramosa; e sopra lo scalmo di prora, il leone
terribilmente guata. Balzarono a poppa, sgomenti,
tutti, vicino al nocchiero che aveva mostrato saggezza;
e se ne stavano li, sbigottiti. E il leone, d'un salto,
il capitano acciuffò. Quegli altri, d'un tratto, a schivare
la mala sorte, tutti nel mare balzarono; e quivi
divennero delfini. Ma il Nume, pietà del pilota
ebbe, lo risparmiò, lo volle felice, e gli disse:
«Salute, o pio nocchiero! Tu sei prediletto al mio cuore.
Io dei tripudi sono l'amico, Dïòniso: madre
mi fu Semèle, figlia di Cadmo; e mio padre fu Giove».
Salute, o della vaga Semèle figliuolo: oblioso
possibile non è ch'io mai dei tuoi riti divenga.

Approfondimento alla lettura

di Luca Cosci

La sezione successiva vuole aiutare il lettore nella comprensione della poesia.

L'inno

L'inno è stato probabilmente composto nel VII-VI sec. A.C. a Corinto, sede rinomata di culti dionisiaci e di gare di Poesia sin dall'VIII sec.

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FANCIULLO

Dioniso è il fanciullo divino al centro della celebrazione dei misteri eleusini, è Dio della natura e della resurrezione; è istinto incontrollabile, caos, pazza saggezza. All'inizio dell'inno è rappresentato come figlio di Semele, figlia di Cadmo re di Tebe, mentre nella parte finale è sottolineata anche la paternità divina in quanto figlio di Zeus: la divinità del fanciullo dopo il prodigio rappresentato dall'inno è pienamente proclamata.

MANTELLO PURPUREO

è simbolo di potestà sovrana ed è quindi riservato ai membri delle famiglie reali. Nel tantra buddista è ricorrente la figura divina del principe nella prima giovinezza che indossa abiti regali di fini sete e ornati di gioielli.

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PROMONTORIO

nelle opere epiche greche, i promontori, dove le acque sono turbolente e la navigazione è pericolosa, sono i luoghi del trapasso ad un mondo visionario e trascendente, ad un altra dimensione di coscienza.

NAVE

la nave è nera come nera è la terra. E' agile e veloce. E' scafo che contiene. E' la materialità del corpo, di un corpo che può essere strumento di pirateria o dimora di prodigi divini.

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PIRATI TIRRENI

la pirateria veniva praticata, quasi normalmente, da tutte le popolazioni mediterranee addette alla navigazione. Il saccheggio e la schiavitù sono le colonne portanti del potere patriarcale. I Tirreni sono le popolazioni Etrusche che vivevano in Italia. I pirati sono i diversi aspetti di una coscienza sottomessa al dominio dell'Ego, che nell'inno sembra identificato con il capitano.

RAPIMENTO

l'intenzione dei pirati è di chiedere riscatto alla famiglia reale a cui il fanciullo appartiene, oppure di venderlo ad uno dei mercati degli schiavi che si tenevano in oriente. Il capitano, ignaro della reale identità di Dioniso, dice che è un Dio che gli manda questo principe come una fortuna: è evidente il degrado materialista della spiritualità del capitano che agisce in modo tracotante aspettandosi in cambio qualcosa di prezioso.

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LACCI

è impossibile legare, costringere Dioniso; una volta incontrata la naturalità divina non può essere arginata, contenuta. E' la sua stessa energia che definisce la danza della vita senza che alcuna resistenza sia possibile. I lacci cadono e Dioniso rimane seduto e sorridente con i suoi splendidi occhi azzurri, come un Buddha in contemplazione.

TIMONIERE

il timoniere è l'unico dell'equipaggio che riconosce nel prigioniero rapito un essere divino. E' confuso, non sa che Dio sia, ma non ha dubbi che non sia un essere ordinario. Si rende conto che si sta commettendo la profanazione di un Dio e ne teme la reazione. Come quasi sempre, la parte più saggia e lucida della nostra coscienza, che pur esiste e guida, non viene ascoltata, anzi la sua voce tende a rendere ancor più tracotante l'urlo di dominio del capitano, che nella sua inconsapevolezza non realizza quanto possa essere disastroso imporre agli eventi una direzione opposta al naturale fluire dell'energia. Il timoniere è l'unico membro dell'equipaggio che Dioniso salverà nella pienezza della sua umanità.

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FLUTTO DI-VINO

l'immagine bellissima dell'inno non è quella dell'immenso mare le cui acque si sono trasformate in vino, ma quella di flutti di vino che dal mare entrano entro lo scafo della nave. Ancora non può essere contemplata l'immensità di beatitudine di una compiuta realizzazione spirituale, ma il corpo, che già contiene Dioniso, già comincia ad assaporare la dolcezza e il magnifico profumo della beata ebbrezza divina. Il vino è l'ebbrezza che spezza tutti i legami e che riconnette alla primordiale istintività, immediatezza, pazza saggezza: "Chi beve vino perda la ragione, decreta Era."

VITE E UVA

è segno di rinascita dal dolore e dalla morte; nasce, dal dolore delle lacrime di Dioniso che si mescolano al sangue di Ampelo, il suo giovane amante morto sotto alle corna di un toro. Il prodigio della vite che dà frutto avviene sulla vela già gonfia di vento, come il risveglio della Kundalini è spesso annunciato dall'eccitazione prodotta dal concentrarsi dei venti psicofisici (prana) nella zona inguinale. L'uva, il frutto della vite, è la dolcezza inebriante della rinascita, è il risorgere erotico dell'amore.

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EDERA

avvolge il Tirso, lo scettro di Dioniso, al cui apice sta una pigna d'uva. La sua crescita mostra un dualismo che può benissimo ricordare la doppia natura di Dioniso: prima produce i germogli ombrosi, i tralci rampicanti con le foglie lobate, poi appaiono i germogli luminosi che crescono diritti con foglie aventi una forma diversa dalle prime e a questo punto la pianta produce anche fiori e frutti. La si è paragonata al serpente, e entrambi appartengono a Dioniso. L'avvitarsi e il salire dell'edera intorno all'albero della nave è la rappresentazione della salita della Kundalini lungo il canale psicofisico centrale sino alla sommità del capo, con l'esperienza dell'immensa gioia innata.

LEONE

è l'invincibilità di un corpo completamente trasformato dalla penetrazione della Kundalini in ogni sua cellula. Spesso la discesa della Kundalini è particolarmente avvertita dal praticante attraverso sottili vibrazioni ai denti prima, e alle estremità degli arti dopo. I denti del leone nel ruggito e i suoi artigli ne sono la rappresentazione mitica. Dopo l'esperienza oceanica del risveglio della Kundalini e della sua risalita dall'inguine sino alla sommità del capo, la sua energia discende nel corpo sino alle sue estremità, le mani e soprattutto i piedi appunto. Il rito devozionale di inchinarsi ai "piedi di loto" di Vajradhara, tipico dello yoga devozionale al guru del buddismo tantrico, corrisponde proprio ad un inchinarsi al corpo mistico del guru supremo.

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ORSA

la Grande Orsa o Orsa Madre un tempo era Callisto, "la più bella", una ninfa dell'Arcadia montuosa che si era votata ad Artemide, la dea della caccia, trasformata per gelosia in Orsa da Era, la moglie di Zeus, che con lei si era unito. Alla morte dell'orsa, Zeus la trasforma nella costellazione di stelle. Indica la meditazione e la comprensione dei misteri e dei cicli legati alla vita e alla morte. Unisce cielo e terra. Quando tutti i venti psicofisici si dissolvono al cuore la completa realizzazione è compiuta, tutto è assolutamente trasceso e al tempo stesso è immanente in un attimo senza tempo. Come l'orsa che risplende nel firmamento del cielo notturno o che caccia sapiente negli assolati boschi della terra.

TUFFO

il tuffo dei pirati in mare ha un valore rituale e di purificazione perché assicura loro la salvezza, dopo il doppio oltraggio al Dio, che non viene riconosciuto e che si intende vendere come schiavo. E' frequente nell'iconografia funeraria in quanto simbolo dell'esperienza di morte e rinascita.

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DELFINI

sono in genere raffigurazioni di metamorfosi e nella consuetudine figurativa greca sono associati ai rituali cori dionisiaci, in quanto animali amanti della danza e del canto. I pirati sono trasformati e adesso danzano e cantano Dioniso nell'ebbrezza mistica di un mare di-vino. E' la trasformazione alchemica dei diversi aspetti dell'ego.