
(traduzione di Ettore Romagnoli Zanichelli 1925)
di Luca Cosci
La sezione successiva vuole aiutare il lettore nella comprensione della poesia.
L'inno è stato probabilmente composto nel VII-VI sec. A.C. a Corinto, sede rinomata di culti dionisiaci e di gare di Poesia sin dall'VIII sec.


Dioniso è il fanciullo divino al centro della celebrazione dei misteri eleusini, è Dio della natura e della resurrezione; è istinto incontrollabile, caos, pazza saggezza. All'inizio dell'inno è rappresentato come figlio di Semele, figlia di Cadmo re di Tebe, mentre nella parte finale è sottolineata anche la paternità divina in quanto figlio di Zeus: la divinità del fanciullo dopo il prodigio rappresentato dall'inno è pienamente proclamata.
è simbolo di potestà sovrana ed è quindi riservato ai membri delle famiglie reali. Nel tantra buddista è ricorrente la figura divina del principe nella prima giovinezza che indossa abiti regali di fini sete e ornati di gioielli.


nelle opere epiche greche, i promontori, dove le acque sono turbolente e la navigazione è pericolosa, sono i luoghi del trapasso ad un mondo visionario e trascendente, ad un altra dimensione di coscienza.
la nave è nera come nera è la terra. E' agile e veloce. E' scafo che contiene. E' la materialità del corpo, di un corpo che può essere strumento di pirateria o dimora di prodigi divini.


la pirateria veniva praticata, quasi normalmente, da tutte le popolazioni mediterranee addette alla navigazione. Il saccheggio e la schiavitù sono le colonne portanti del potere patriarcale. I Tirreni sono le popolazioni Etrusche che vivevano in Italia. I pirati sono i diversi aspetti di una coscienza sottomessa al dominio dell'Ego, che nell'inno sembra identificato con il capitano.
l'intenzione dei pirati è di chiedere riscatto alla famiglia reale a cui il fanciullo appartiene, oppure di venderlo ad uno dei mercati degli schiavi che si tenevano in oriente. Il capitano, ignaro della reale identità di Dioniso, dice che è un Dio che gli manda questo principe come una fortuna: è evidente il degrado materialista della spiritualità del capitano che agisce in modo tracotante aspettandosi in cambio qualcosa di prezioso.


è impossibile legare, costringere Dioniso; una volta incontrata la naturalità divina non può essere arginata, contenuta. E' la sua stessa energia che definisce la danza della vita senza che alcuna resistenza sia possibile. I lacci cadono e Dioniso rimane seduto e sorridente con i suoi splendidi occhi azzurri, come un Buddha in contemplazione.
il timoniere è l'unico dell'equipaggio che riconosce nel prigioniero rapito un essere divino. E' confuso, non sa che Dio sia, ma non ha dubbi che non sia un essere ordinario. Si rende conto che si sta commettendo la profanazione di un Dio e ne teme la reazione. Come quasi sempre, la parte più saggia e lucida della nostra coscienza, che pur esiste e guida, non viene ascoltata, anzi la sua voce tende a rendere ancor più tracotante l'urlo di dominio del capitano, che nella sua inconsapevolezza non realizza quanto possa essere disastroso imporre agli eventi una direzione opposta al naturale fluire dell'energia. Il timoniere è l'unico membro dell'equipaggio che Dioniso salverà nella pienezza della sua umanità.


l'immagine bellissima dell'inno non è quella dell'immenso mare le cui acque si sono trasformate in vino, ma quella di flutti di vino che dal mare entrano entro lo scafo della nave. Ancora non può essere contemplata l'immensità di beatitudine di una compiuta realizzazione spirituale, ma il corpo, che già contiene Dioniso, già comincia ad assaporare la dolcezza e il magnifico profumo della beata ebbrezza divina. Il vino è l'ebbrezza che spezza tutti i legami e che riconnette alla primordiale istintività, immediatezza, pazza saggezza: "Chi beve vino perda la ragione, decreta Era."
è segno di rinascita dal dolore e dalla morte; nasce, dal dolore delle lacrime di Dioniso che si mescolano al sangue di Ampelo, il suo giovane amante morto sotto alle corna di un toro. Il prodigio della vite che dà frutto avviene sulla vela già gonfia di vento, come il risveglio della Kundalini è spesso annunciato dall'eccitazione prodotta dal concentrarsi dei venti psicofisici (prana) nella zona inguinale. L'uva, il frutto della vite, è la dolcezza inebriante della rinascita, è il risorgere erotico dell'amore.


avvolge il Tirso, lo scettro di Dioniso, al cui apice sta una pigna d'uva. La sua crescita mostra un dualismo che può benissimo ricordare la doppia natura di Dioniso: prima produce i germogli ombrosi, i tralci rampicanti con le foglie lobate, poi appaiono i germogli luminosi che crescono diritti con foglie aventi una forma diversa dalle prime e a questo punto la pianta produce anche fiori e frutti. La si è paragonata al serpente, e entrambi appartengono a Dioniso. L'avvitarsi e il salire dell'edera intorno all'albero della nave è la rappresentazione della salita della Kundalini lungo il canale psicofisico centrale sino alla sommità del capo, con l'esperienza dell'immensa gioia innata.
è l'invincibilità di un corpo completamente trasformato dalla penetrazione della Kundalini in ogni sua cellula. Spesso la discesa della Kundalini è particolarmente avvertita dal praticante attraverso sottili vibrazioni ai denti prima, e alle estremità degli arti dopo. I denti del leone nel ruggito e i suoi artigli ne sono la rappresentazione mitica. Dopo l'esperienza oceanica del risveglio della Kundalini e della sua risalita dall'inguine sino alla sommità del capo, la sua energia discende nel corpo sino alle sue estremità, le mani e soprattutto i piedi appunto. Il rito devozionale di inchinarsi ai "piedi di loto" di Vajradhara, tipico dello yoga devozionale al guru del buddismo tantrico, corrisponde proprio ad un inchinarsi al corpo mistico del guru supremo.


la Grande Orsa o Orsa Madre un tempo era Callisto, "la più bella", una ninfa dell'Arcadia montuosa che si era votata ad Artemide, la dea della caccia, trasformata per gelosia in Orsa da Era, la moglie di Zeus, che con lei si era unito. Alla morte dell'orsa, Zeus la trasforma nella costellazione di stelle. Indica la meditazione e la comprensione dei misteri e dei cicli legati alla vita e alla morte. Unisce cielo e terra. Quando tutti i venti psicofisici si dissolvono al cuore la completa realizzazione è compiuta, tutto è assolutamente trasceso e al tempo stesso è immanente in un attimo senza tempo. Come l'orsa che risplende nel firmamento del cielo notturno o che caccia sapiente negli assolati boschi della terra.
il tuffo dei pirati in mare ha un valore rituale e di purificazione perché assicura loro la salvezza, dopo il doppio oltraggio al Dio, che non viene riconosciuto e che si intende vendere come schiavo. E' frequente nell'iconografia funeraria in quanto simbolo dell'esperienza di morte e rinascita.


sono in genere raffigurazioni di metamorfosi e nella consuetudine figurativa greca sono associati ai rituali cori dionisiaci, in quanto animali amanti della danza e del canto. I pirati sono trasformati e adesso danzano e cantano Dioniso nell'ebbrezza mistica di un mare di-vino. E' la trasformazione alchemica dei diversi aspetti dell'ego.